Al duello, nel corso della storia, sono stati attribuiti molteplici significati. È stato inteso come un rituale sacro o empio, un’istituzione (o paraistituzione/controistituzione) giudiziaria, un criterio di differenziazione sociale dispensatore di rispetto e prestigio, una sorta di “opera d’arte effimera” ma d’intenso valore estetico, una forma di esercizio fisico prodromico a quella scherma agonistica che tanti allori olimpici ha dato all’Italia. Con la Rivoluzione francese da pratica esclusivamente aristocratica e nobiliare si democratizza. Subisce un processo di “imborghesimento” che, nel contempo, ne allarga gli orizzonti non solo sociali tendendo a una profonda politicizzazione. Così dai duelli oratori parlamentari si passa, non di rado, agli scontri all’arma bianca. Il volume segue questa traiettoria soffermandosi in particolare sull’evoluzione del duello politico dal Risorgimento all’Italia unita. Un fenomeno talmente diffuso da interessare indistintamente la destra e la stessa sinistra, quei socialisti che ufficialmente lo condannavano nei loro congressi ma poi non sapevano resistervi: da Prampolini a Bissolati, da Nenni a Treves. L’apice di questa peculiare duellomania si registra con la morte in combattimento di Felice Cavallotti (1898), il “Bardo della democrazia” arrivato al suo fatale trentaduesimo scontro, per poi riprender fiato col fascismo (da Mussolini a Farinacci ecc.), quando ci si batte soprattutto tra squadristi e “ras” locali. Una storia che trascinandosi oramai stancamente, cesserà solo negli anni ’50 del secolo scorso per estinzione naturale.